Giù
tassi e tasse
Di
Carlo Pelanda (20-10-2008)
La tendenza recessiva in atto fa temere un
impatto pesante per l’economia italiana. Confindustria ha stimato, una decina
di giorni fa, una contrazione del Pil di -0,5% nel 2009. I dati correnti - per
esempio caduta della produzione industriale, cedimento dell’export, iniziale
aumento della disoccupazione, ecc. -
indicano scenari forse peggiori. Per questo è urgente capire cosa possa
essere fatto per evitarli.
In queste
condizioni qualsiasi economista di scuola realistica direbbe: mollate tutti i
cordoni della borsa per stimolare l’economia, con misure di emergenza, senza
starci troppo a pensare. Ma le corde restano strette e ancora non rilasciano le
giuste risorse all’economia reale in quattro settori fondamentali: costo del
denaro, credito, costi fiscali e sistemici. La Bce tiene i tassi di riferimento al 3,75%, dopo
averli tagliati dello 0,50 pochi giorni fa, come se ci fosse ancora un rischio
di inflazione a 18 mesi. La probabilità elevata di una recessione europea che
duri per tutto il 2009, combinata con la caduta del prezzo del petrolio a
seguito della minore domanda dovuta alla contrazione dell’economia globale, non
giustifica tassi così elevati, restrittivi. Infatti è probabile che la Bce li tagli nel prossimo
futuro. Ma la situazione pericolosa in Germania, Francia ed Italia, che insieme
fanno quasi il 75% del Pil dell’intera eurozona, consiglierebbe di tagliare
subito e tanto. Quali sarebbe il tasso giusto, cioè stimolativo, ma non
inflazionistico, oggi? Tra il 2 ed il 2,5%. Non si capisce cosa aspettino a
Francoforte. La riduzione del costo del denaro, nelle contingenze, non è solo
utile a ridurre i costi di indebitamento di famiglie ed imprese e quindi a
stimolare consumi ed investimenti, ma anche ad accelerare la ripresa del
credito congelato dalla crisi finanziaria/bancaria appena tamponata. E’ il
momento che il governo italiano faccia pressioni silenziose, ma fortissime,
sulla Bce, imputandola di impoverimento se non si decide ad adeguare la politica
monetaria alla realtà. Ma non basterà la sola riduzione del costo del denaro.
Questo è un momento in cui bisognerebbe tagliare il più possibile le tasse su
imprese e famiglie per ridare loro capitale utile, appunto, per investimenti e
consumi. Non servono misure selettive di sostegno a singoli settori industriali
o a categorie disagiate. Sarebbero solo goccia nell’incendio. Quello che serve è
un abbattimento sostanziale dei costi fiscali complessivi. Il governo non ha
molto spazio di manovra tra vincoli europei, rigidità della spesa pubblica e
peso del debito che rende più pericoloso il ricorso al deficit. In tal senso
dobbiamo renderci conto delle difficoltà oggettive e non possiamo pretendere
l’impossibile. Ma proprio per questo vanno cercati con maggiore attivismo gli
spazi possibili. Per esempio, ci sono nel bilancio statale circa 15 miliardi di
euro di trasferimenti diretti alle imprese che potrebbero essere trasformati in
detassazione generale delle stesse con effetto stimolativo immensamente maggiore,
soprattutto, per le piccole oggi a maggior rischio. Inoltre, il governo
dovrebbe sia togliere regole inutili e costose per fluidificare le iniziative
economiche sia aumentare la concorrenza per ridurre i costi sistemici. In
conclusione, la miglior ricetta di contrasto alla recessione è quella di dare
impulso al mercato riducendone pesi e costi. Mi rendo conto che in periodi di
pessimismo economico la gente chiede aiuti statali diretti e la politica si
trova costretta o tentata a darli. Ma sarebbe un errore che aggraverebbe
l’impatto recessivo.
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